La Corte caraibica di giustizia

AuthorFrancesco Cherubini
ProfessionRicercatore a tempo determinato di Diritto dell'Unione europea nella LUISS 'Guido Carli' di Roma
Pages71-98

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  1. La Corte caraibica di giustizia presenta delle caratteristiche del tutto particolari che la rendono, per certi versi, un unicum nel panorama del diritto internazionale1: essa ha, da un lato, una giurisdizione di natura internazionale e, dall’al- tro, una giurisdizione di natura interna. Riguardo alla prima, la Corte interpreta norme di natura internazionale come quelle contenute nel Trattato di Chaguaramas, così come modificato nel 2001 (il “Trattato”), risolve eventuali controversie fra gli Stati parte dello stesso Trattato ecc., così atteggiandosi a tipico giudice interna- zionale. Nell’ambito della seconda, invece, la Corte è chiamata ad applicare norme interne in veste di giudice d’appello avverso sentenze emesse dai giudici di ultimo grado degli Stati che hanno riconosciuto (e reso operativa, nei rispettivi ordina- menti) tale giurisdizione. Secondo il Trattato, la prima prende il nome di giurisdi- zione originaria, mentre la seconda quello di giurisdizione d’appello. La coesistenza in capo al di queste due così diverse giurisdi zioni si deve ad una ragione storica ben precisa. La Corte, infatti, è nata allo scopo di assolvere due fun zioni: una prima è quella di contribuire allo sviluppo ulteriore del mercato comune, che l’originario Trattato di Chaguaramas del 1971, istitutivo della Caribbean Community (CARICOM), aveva solo abbozzato. Le possibili azioni per incrementare l’integrazione economica della regione

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    erano state oggetto di un rapporto della West Indian Commission (anche detta Commissione Ramphal, dal nome del suo presidente): essa, fra le altre misure da adottare, aveva incluso2 anche la costituzione di una Corte di giustizia costruita sul modello dell’allora Corte comunitaria3. Questo percorso si è poi compiuto nel 2001 quando l’originario Trattato di Chaguara mas è stato modificato4.

    L’altra necessità, che ha dato vita alla giurisdizione d’appello, poggiava sulla volontà della maggior parte degli Stati dell’area caraibica di svincolarsi da un vecchio residuo del colonialismo britannico: la giurisdizione del Judicial Committee of the Privy Council (d’ora in avanti, il “Comi tato”). Quest’ultimo aveva (e, per certi versi, tuttora ha5) funzioni di giudice d’appello quasi del tutto analoghe a quelle affidate al. L’occasione per disfarsi di questo Comitato – se condo taluni, la re ale ragione per cui la Corte è stata costituita6 – è legata, in verità, ad una speci fica vicenda oggetto di decisione da parte del Comitato stesso. Nella sentenza del 2 no vembre 1993 pratt and Morgan7, esso aveva sta bilito che era contraria ad alcune norme della Costitu zione giamaicana8

    la circo stanza che passasse un lasso di tempo troppo lungo (cinque anni) tra la sentenza di condanna a morte e il momento dell’esecuzione. Tale pronuncia aveva avuto l’effetto “a cascata” di indurre gli Stati caraibici, soggetti alla giurisdizione d’appello del Comitato, a commutare in er gastolo tutte le condanne a morte per le quali non si era proce duto all’esecuzione in tempi brevi9. Tale ricaduta della sentenza pratt and Morgan aveva susci tato una reazione molto forte negli Stati carai-

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    bici10 e restituito la ribalta ad una polemica che risaliva agli anni Settanta, epoca in cui si fece strada l’idea di sostituire il Co mitato stesso, espressione di un ultimo retaggio colo niale e ostacolo alla definitiva consacrazione dell’indipendenza dei Paesi dell’area11, con una Corte regionale, più fe dele manifestazione della società caraibica12. Dietro siffatto ra gionamento vi era forse l’aspettativa (malcelata) che la nuova Corte regionale ribal tasse la giurisprudenza pratt and Morgan, tanto che ad essa era già stato assegnato il “ben” augu rante epiteto di “hanging Court”13. Nel prosieguo di questo breve lavoro, ci soffermeremo sulla prima delle due funzioni della Corte (quella cd. originaria)14.

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    Le funzioni della Corte sono oggetto di una serie di norme che, invero, non sempre si prestano ad una interpretazione del tutto chiara e coerente. Esse si rinvengono sia nell’Accordo istitutivo della Corte (l’“Accordo”)15, che risale al febbraio 2001, sia nel Trattato che, nella sua ver sione defini tiva del giugno 2001, è successivo a detto Accordo. Quest’ultimo affida alla Corte tre diverse giurisdizioni: quella originaria (art. XII), una giurisdizione consultiva (art. XIII) e, infine, la giuri sdizione d’appello (art. XXV). A sua volta, il Trattato, in modo asimmetrico rispetto all’Accordo, riprende, peraltro con qualche incongruenza, solamente la giurisdizione originaria (art. 211) e quella consultiva (art. 212) – e non, si badi, quella d’appello –, ag giungendo altre competenze minori in materia di concorrenza16 (queste ultime, assenti nell’Accordo). Il quadro che ne emerge è il se guente: la disciplina di alcune giurisdizioni (quella originaria e quella consultiva) trova la propria fonte sia nell’Accordo che nel Trattato, mentre la giurisdizione d’appello e le competenze in mate ria di con correnza sono contemplate rispettivamente dall’Accordo e dal Trattato. La ragione di que sta asim metria riposa prevalentemente sulla ne cessità di svincolare la giurisdizione d’appello dall’appartenenza alla CARICOM, in modo che, da un lato, ogni Stato non facente parte di detta or ganizzazione possa comunque sostituire la Corte al Comitato senza dover entrare a far parte della CARICOM17, mentre, dall’altro, la membership non comporti au tomaticamente l’accettazione della giurisdi zione

    d’appello della Corte, in sostituzione di quella del Comitato18.

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    In verità, a questa stessa soluzione poteva pervenirsi con un sistema differente che avrebbe scongiurato la necessità di coordinare due diversi testi: quello dell’Accordo e quello del Trattato, almeno limitatamente alle giurisdizioni previste da entrambi (originaria e consultiva). Ad esem pio, la diversa posizione degli Stati rispetto alla CARICOM e all’accettazione della giurisdizione d’appello della Corte avrebbe potuto essere fissata da protocolli aggiuntivi, sullo stile di quelli che, nel diritto dell’Unione europea, realizzano la c.d. applicazione differenziata. Com’era pre vedibile, il rischio di incongruenze interpretative, determinato dalla scelta di procedere con due diversi accordi, si è rivelato fondato: infatti, per quanto concerne la giurisdizione originaria, il coordinamento tra i due testi pone qualche problema, di cui daremo conto nelle prossime pagine.

  2. Nell’ottica di un confronto tra la Corte caraibica (limitatamente, come detto19,

    alla sua giu risdi zione originaria) e quella dell’UE occorre procedere all’analisi di due differenti aspetti. Un primo aspetto riguarda i canali di attivazione della giurisdizione originaria della Corte carai bica, ca nali che riprendono in parte alcuni di quelli tipici dell’esperienza prima comunitaria e, oggi, dell’UE. L’altro aspetto – forse quello cruciale nella prospettiva di una possibile influenza della giu risprudenza della Corte dell’UE su quella della Corte caraibica – riguarda i caratteri del diritto ma teriale che quest’ultima è chiamata a interpretare e applicare. Per quanto concerne il primo aspetto va chiarito un punto preliminare, e cioè l’estensione dell’oggetto della giurisdizione “originaria” della Corte20. L’art. 211 del Trattato la circoscrive alle controversie concernenti “the interpretation and application of the Treaty, including: (a) disputes between the Member States parties to the Agreement; (b) disputes between the Member States parties to the Agreement and the Community; (c) referrals from national courts of the Member States parties to the Agreement; (d) applications by persons in accordance with Article 222”21.

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    Ebbene, tali meccanismi si inseriscono nel più ampio contesto del capitolo nono del Trattato, concernente la soluzione delle controversie, per cui l’art. 211 va coordinato con gli articoli 187 e 188, che aprono detto capitolo. L’art. 188, par. 1, dispone che “[s]ubject to the provisions of this Treaty, the disputes mentioned in Article 187 shall be settled only by recourse to any one of the following modes for the settlement of disputes, namely, good offices, mediation, consultations, conciliation, arbitration and adjudication”22. A sua volta, l’art. 187 afferma che le disposizioni del capitolo nono relativo ai mezzi di soluzione delle controversie si applicano “to the settlement of disputes concerning the interpretation and application of the Treaty, including: (a) allegations that an actual or proposed measure of another Member State is, or would be, inconsistent with the ob jectives of the Community; (b) allegations of injury, serious prejudice suffered or likely to be suf fered, nullification or impairment of benefits expected from the establishment and operation of the CSME [CARICOM Single Market and Economy]; (c) allegations that an organ or body of the Community has acted ultra vires; or (d) allegations that the purpose or object of the Treaty is being frustrated or prejudiced”.

    Intanto, ci si deve chiedere se con il termine “adjudication”, contenuto nell’art. 188, il Trat tato si riferisca alla sola giurisdizione originaria della Corte o anche, più in generale, a qualunque regolamento giudiziario che possa incardinarsi presso un altro giudice internazionale (come ad esempio la Corte internazionale di giustizia, un Panel dell’Organizzazione mondiale del commercio ecc.). Alcuni elementi del Trattato depongono a favore di una interpretazione restrittiva del termine “adjudication”: in primis, mentre per tutti gli altri mezzi di soluzione menzionati dall’art. 188 le norme successive (articoli 189-210) prevedono una disciplina particolareggiata, il Trattato tace sulla procedura di regolamento giudiziario, disponendo direttamente (art. 211 ss.) sulla giurisdizione della Corte; in secondo luogo, come a breve diremo, non c’è altro modo di intendere l’espressa allusione del Trattato alla natura esclusiva della giurisdizione della Corte, se...

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